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<p>Dopo sette anni di vita insieme, Marta viene lasciata da Antonio, stanco delle sue ritrosie, del suo non saper fingere e del suo evitare le cose che non le piace fare. Marta soffre la sua assenza, anche fisicamente, ma prosegue nel lavoro di insegnante di educazione fisica al liceo, continua a mangiare in maniera disordinata, e manda stroncature sotto falso nome al ristorante di cui Antonio &egrave; proprietario e chef. Il suo interlocutore &egrave; soprattutto il cartonato di un cantante K-pop coreano, che ascolta le riflessioni sulla vita della donna e le dorme accanto. La sorella Elisa cerca di stare vicino a Marta, soprattutto quando i mal di pancia si rivelano dovuti non solo a quello che mangia. E un suo collega di lavoro, il professor Agostini, cerca di acchiapparla mentre lei sfugge in bicicletta, per le strade di una Roma altrettanto sfuggente, cercando le cose che sembrano dirle che andr&agrave; tutto bene, nonostante tutto.</p> <p>&ldquo;Tre ciotole&rdquo; &egrave; l&rsquo;adattamento dell&rsquo;ultima raccolta di racconti di Michela Murgia. La scrittrice era gi&agrave; cosciente della malattia che l&#39;avrebbe condotta ad una morte prematura, e di quell&#39;imminenza il film &egrave; imbevuto, ma anche della consapevolezza leggera con cui ha affrontato il suo destino, cogliendo il significato non della sua prossima dipartita, ma della sua presenza nel mondo. La regista spagnola Isabel Coixet cambia di segno la sua storia, mostrando una protagonista che non intende lasciare una eredit&agrave;, ma crea una rete di connessioni quasi involontarie di cui &egrave; il centro, senza essersi mai messa in primo piano. La regia di Coixet &egrave; fatta di momenti, tessere di un mosaico che trova la sua definizione solo alla fine, e la sceneggiatura, della stessa Coixet e di Enrico Audenino, ha la delicatezza di una fiaba, e allo stesso tempo quell&#39;onest&agrave; cruda che era la cifra esistenziale e comunicativa di Michela Murgia. L&#39;invito &egrave; a smetterla di occuparsi delle cose stupide e a fare della propria vita ci&ograve; che vogliamo, fregandosene di quello che pensa la gente. Si esce dalla visione del film non tristi, ma motivati a non sprecare neanche un minuto in stronzate, o con gente che non ci piace e che ci fa sentire soli.</p> <p>Alba Rohrwacher abita il personaggio di Marta comprendendone pi&ugrave; i silenzi che le parole, pi&ugrave; le riluttanze che le azioni, e prestando la sua naturale timidezza e ostinazione a una figura femminile insolita per il cinema italiano (e internazionale) perch&eacute; non &egrave; come gli altri ma non ne fa n&eacute; una bandiera n&eacute; una colpa, &egrave; selettiva senza essere arrogante, presente a se stessa senza dover definire ogni sua emozione. Elio Germano, specularmente, usa la sua rabbia per costruire il ritratto di un uomo che ha impostato la sua vita sul raggiungere obiettivi dimenticando la gioia di fare le cose per niente. La presenza di Francesco Carril, gi&agrave; coprotagonista della serie &ldquo;Dieci capodanni&rdquo;, nel ruolo di Agostini ricollega&nbsp;&ldquo;Tre ciotole&rdquo;&nbsp;a quel nuovo audiovisivo spagnolo che trova nel ritornare all&#39;umano la sua linfa pi&ugrave; feconda. La colonna sonora, che mescola musiche originali di Alfonso De Villalonga con un brano interpretato da Mahmood e Vanoni, Hoagy Carmichael reinventato da Nina Simone e Luigi Tenco rinnovato da November Ultra e Nicolas Mantoux, fa da accompagnamento emotivo alla storia.</p> <p>Le tre ciotole di questa storia sono gli spazi che possiamo riempire e quelli che dobbiamo svuotare, sono i posti speciali che vogliamo salvare dall&#39;invadenza e quelli in cui cerchiamo di ritrovare i ricordi, le parole che non vogliamo sostituire con neologismi yankee e le stanze che devono essere attraversate dalla gioia prima di essere concesse ad altri. Ma la protagonista &egrave; la vita, che ci riacchiappa anche un attimo prima di abbandonarci, se glielo permettiamo.</p>
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